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lunedì 25 agosto 2014

Voglia di LIBRI: "Vento dell'Est: vento dell'Ovest", di Pearl S. Buck, Arnoldo Mondadori Editore

Prima dell'inizio di agosto, mi sono trovata a dover andare spesso a Roma per motivi vari. In questi miei brevi viaggi in treno ho ovviamente portato con me un eccellente compagno di viaggio, che poi ho purtroppo lasciato e ripreso all'inizio di questo afoso mese.

Molti di voi probabilmente conoscono Pearl S. Buck, autrice del fortunato quanto geniale romanzo "La saggezza di Madama Wu" (1946), oltre che di altri titoli quali: "Le ragazze di Madame Liang" (1970), "Il frutto mancato"(1963) e "I parenti" (1960).

Oggi vi propongo invece questo splendido volume, dal titolo "Vento dell'Est: vento dell'Ovest", primo romanzo della scrittrice, edito nel 1930, in cui l'autrice affronta una tematica a lei molto cara e presente spesso nelle sue opere: la condizione della donna nella Cina all'inizio del Novecento e lo scontro tra la cultura cinese e quella americana. Al suo interno troviamo tre storie; la prima che prende il nome dal titolo, ed altri due racconti molto più brevi, "La prima moglie" e " La vecchia madre". Tutti e tre, analizzano le stesse tematica da punti di vista differenti, eppure profondamente connessi tra loro.



                                          Copertina del libro, edito Arnoldo Mondadori, edizione speciale nella raccolta "La Biblioteca di Repubblica"


In "Vento dell'Est: vento dell'Ovest", la protagonista Kwei-lan, educata in una casa dove vigono ancora le antiche tradizioni, si rende conto immediatamente, già dal primo giorno di nozze, che il marito, educato invece in una scuola straniera e dunque alla maniera occidentale, ha tutt'altra concezione del mondo, che vede ormai con gli occhi di uno "straniero". Kwei-lan non concepisce il mondo di cui ormai fa parte il suo sposo ed inizialmente tenta di sedurlo e farlo innamorare di sé seguendo gli insegnamenti di sua madre, una donna rigida e saggia, ma che disprezza l'occidente e la sua cultura "barbara". La ragazza, nonostante i suoi molteplici tentativi, si rassegna in seguito a cercare di vedere il mondo alla maniera del marito. Il primo e fondamentale passo sarà quello di eliminare il bendaggio dei piedi, che il marito definisce un'inutile e dannosa tortura (mentre per la tradizione cinese è un'usanza millenaria, per la quale alle bambine è imposto di tenere legati i piedi per evitarne la crescita e mantenerli piccoli e belli). 

Da questo momento in poi i due coniugi saranno più uniti che mai. Kwei-lan sopraffatta dal grande amore per il suo sposo inizierà così una nuova vita, in cui spesso si sentirà come un pesce fuor d'acqua, ma la forza del suo amore sarà determinante per lei, decisa ad essere sempre all'altezza di suo marito, pur rispettando in parte le tradizioni e gli insegnamenti della vecchia casa, ma sempre più dubbiosa sulla loro reale importanza in tempi così profondamente diversi come quelli. 

Un evento drammatico sconvolgerà la sua vita e quella della sua famiglia: suo fratello, erede delle ricchezze di suo padre, dopo aver passato diverso tempo negli Stati Uniti, torna in Cina sposato con una donna americana. Il dolore di sua madre è grande e Kwei-lan si scontrerà nuovamente con le diversità delle due culture, in dubbio se approvare il grande amore tra suo fratello e la ragazza straniera oppure distogliere suo fratello dal continuare questa storia destinata a portare dolore e vergogna per la famiglia.

Ne "La prima moglie", avremo invece una donna dedita alla cura della casa e della famiglia di suo marito, lontano da casa da sette anni, anch'egli partito per gli Stati Uniti come i tanti giovani dell'epoca. Al suo ritorno i familiari lo troveranno completamente cambiato. Egli rifiuta la sua sposa, mandandola a dormire con i due figli piccoli, come d'altronde ella aveva fatto per tutti quegli anni, in attesa del suo ritorno. L'uomo, dopo aver appreso gli ideali e la mentalità straniera, si vergogna ormai di quella donna così taciturna e ignorante, al punto di non rivolgerle quasi più la parola, ma anzi ignorando ogni suo gesto da moglie buona e devota quale era.

Dopo aver accettato un lavoro di una certa rilevanza nella capitale, suo padre decide di mandare la nuora in città dal marito, affinchè ella potesse dargli una mano a casa e se ne prendesse cura, spaventato dal cambiamento radicale di suo figlio. Ma questi non accetta tale decisione, a meno che la donna non frequenti prima una scuola straniera, così da poter essere alla altezza delle sue aspettative e di quelle della città stessa, dove le donne ormai hanno un ruolo paritario agli uomini e hanno studiato tutte oltreoceano.
Ma per la giovane sarà un'impresa ardua, troppo legata alla casa nella quale è stata accolta, troppo in pena per i due anziani suoceri e i suoi bambini.

Decide così di lasciare la scuola, rinunciare all'istruzione e al viaggio verso la capitale.
Le conseguenze di questa scelta saranno drammatiche.

Nell'ultimo racconto, "La vecchia madre" una donna molto anziana, mantenuta da suo figlio e da sua nuora, è continuamente rimproverata e disprezzata persino dai servi e dalle sue nipotine, per i suoi modi campagnoli e ignoranti, che suscitano vergogna in suo figlio e provocano odio in sua moglie. La donna soffre per questa vita che somiglia quasi ad una prigione e nonostante i suoi tentativi per compiacere il figlio, non riesce ad abituarsi alla nuova vita "all'occidentale". Suo figlio arrivato al limite della sopportazione, prenderà una decisione che andrà totalmente contro tutto ciò che fino ad allora insegnava la tradizionale cultura cinese.

In "Vento dell'Est: vento dell'Ovest" notiamo subito che la protagonista si rivolge a noi con la denotazione di "sorella". E' chiaro quindi che veniamo direttamente coinvolti nel suo racconto, come se ci scrivesse delle lettere nella quale si confida e ci chiede sostegno nel suo profondo senso di confusione.
Kwei-lan è una donna apparentemente incapace di adattarsi ai cambiamenti, incapace di avere una propria opinione, totalmente influenzata dalla sua educazione all'antica, mentre andando avanti nella storia, percepiamo man mano dei sostanziali mutamenti in quello che dice e che pensa.

La caratterizzazione di Kwei-lan si discosta totalmente da quelle delle due protagoniste dei successivi racconti, che invece preferiscono rimanere ben salde ai loro principi, abitudini e tradizioni, non riuscendo ad inserirsi nel "nuovo mondo cinese", completamente influenzato dal mondo occidentale. Pearl S.Buck pone i suoi personaggi continuamente dinanzi ad un bivio, costringendoli ad una scelta; nel caso di Kwei-lan, essa si rassegna a cercare di comprendere la nuova cultura di cui fa parte suo marito, spinta solo dalla forza del suo amore, ma col tempo riesce ad unire i vecchi insegnamenti impartiti dalla vecchia madre con quelli del suo sposo, nonostante una commistione tra le due culture sia sempre più complessa ed impossibile.

Le altre due protagoniste invece, sembrano essere più deboli, incapaci di adeguarsi ai cambiamenti della civiltà rimanendo fedeli alle loro convinzioni, forse per pigrizia, forse per abitudine, forse a causa del loro sentirsi inadeguate. L'autrice analizza tutte le sfaccettature dell'animo di queste donne affascinate da un lato dai cambiamenti, ma allo stesso tempo terrorizzate dalle conseguenze. Impossibili da giudicare, il lettore prova nel corso della lettura pena, incertezza, rabbia, commozione, sia nel leggere i discorsi e i pensieri di tali donne, sia nel comprendere l'atteggiamento dei loro sposi o figli, venendo a conoscenza di quanto una cultura differente possa cambiare in toto il carattere e il modo di pensare di un uomo, in questo caso, di un uomo cinese, cresciuto in una civiltà millenaria che sembrava destinata a rimanere sempre uguale a se stessa, intoccabile piena di saggezza fatta di tradizioni secolari e retta dal culto religioso.

E' evidente la metafora socio-politica che pervade tutta l'opera di Pearl.S.Buc
k, forte e particolarmente cruda in questi tre racconti, ma che è palese anche in altri romanzi della stessa, dove il tema centrale è la lotta tra la cultura occidentale e quella orientale, la difficile accettazione di questo nuovo mondo e la rassegnazione ad esso.

In altri titoli come " I parenti", viene analizzato questo concetto dal punto di vista di una famiglia cinese trasferitasi negli Stati Uniti, dove invece è il figlio maggiore a voler tornare in Cina e provare ad unire le due culture per aiutare i suoi connazionali.

Ne "Le ragazze di Madame Liang" sarà il governo di Mao a reclamare indietro i giovani residenti negli Usa perchè servano lo Stato, relegando le donne, nonostante i loro titoli di studio occidentali e la loro intelligenza, a ruoli marginali, o a lavori umili costrette a subire maltrattamenti e violenze dagli uomini di Mao Tze-Tung.

Forte è la critica ai due sistemi, occidentali e orientali dell'autrice, che in particolare si concentra sulla questione femminile, come abbiamo potuto osservare in "Vento dell'Est: vento dell'Ovest".


Infine, qualche nota sull'autrice:




                                                                                              Pearl S. Buck

Pearl Sydenstricker Buck nasce ad Hillsboro (Virginia Occidentale), nel 1892. Figlia di un missionario presbiteriano appena nata si trasferisce con la famiglia in Cina, a Chin-Kiang, dove rimane fino al 1900. Fino al 1910 Pearl ha la possibilità di apprendere perfettamente il cinese, dopodichè, nel 1910 torna negli Stati Uniti e prende una laurea in letteratura inglese. Sposa nel 1917 il missionario John Lossing Buck, che segue in Cina fino al 1927, insegnando letteratura inglese all'Università di Nanchino.

Trascorre un anno in Giappone, per poi tornare nel 1928 negli Stati Uniti.
Nel 1930 pubblica il suo primo romanzo, "Vento dell'Est: vento dell'Ovest".
Segue "La buona terra" (1931), grazie alla quale le viene consegnato il Premio Pulitzer.
Nel 1935 sposa l'editore Richard J. Walsh grazie al quale ottiene un enorme successo sin dagli esordi.
Nel 1938 vince il Premio Nobel per la letteratura e nel 1950 viene chiamata a far parte dell'American Academy of Arts and Letters.
Pearl S. Book muore nel 1973 a Danby, nel Vermont.


                                                  Una foto della Buck seduta alla sua scrivania, scattata il 31 Dicembre 1942

Della sua vastissima produzione sono inoltre da ricordare:
"Figli" (1932), "Una famiglia dispersa" (1935), "L'esilio" (1936), "Questo indomito cuore" (1938), "L'amore di Ai-uan" (1939), "Stirpe di drago" (1942), "La promessa" (1943)", "Ritratto nuziale" (1945), "Peonia" (1948), "Il fiore nascosto" (1952), "La casa dei fiori" (1968), "Mandala" (1970).

martedì 19 agosto 2014

Voglia di CINEMA: "Solo gli amanti sopravvivono" (2013)

I vampiri luccicanti alla "Twilight", ormai ne siamo più che certi, hanno stufato il grande pubblico. Tuttavia, la curiosità per queste misteriose creature della notte, sempre alla ricerca di sangue, permane nel mondo del cinema, e talvolta, come nel caso del film di cui mi accingo a parlarvi, permette la realizzazione di pellicole eccellenti.

È il caso di "Solo gli amanti sopravvivono" (titolo originale: Only lovers left alive), un film del 2013 diretto da Jim Jarmusch, autentico pioniere del cinema indipendente d'oltreoceano. 

In un'atmosfera perennemente cupa, tra le città di Tangeri e Detroit, rassomigliante ad un incubo da cui non ci si sveglia facilmente, vengono presentati Adam (interpretato da Tom Hiddleston) e la moglie Eve (interpretata da una Tilda Swinton sempre più eccezionale): lui, artista decadente, tormentato dai propri demoni ed ossessionato dalla sua musica a tal punto da tenerla per sé, attirando così l'attenzione degli "zombie rockettari", ovvero i suoi fans, da cui si tiene accuratamente alla larga, ad eccezione di Ian (interpretato da Anton Yelchin), suo unico contatto col mondo esterno; lei, amante della lettura, rivela uno spirito più materno, più dolce, da cui Adam, la cui indole è diametralmente opposta, non può che esserne ammaliato. 

La natura vampiresca dei protagonista non si rivela immediatamente, dal momento che i due, più che spietate creature assetate di sangue, ricordano piuttosto due eroinomani in crisi d'astinenza: sarà il momento in cui essi potranno gustare il sangue (rigorosamente in bicchierini decadé), in cui sarà evidente il loro stato di appagamento, un'estasi capace di condurli in una dimensione astratta, a svelare la loro vera natura.

La quiete della strana coppia viene però interrotta dalla sorella di Eve, la disinibita Ava (interpretata da Mia Wasikowska), a cui importa poco di mantenere nascosta la propria identità. Irrompendo bruscamente nella casa di Adam, ascoltando la sua musica senza avere il permesso e terminando le riserve di sangue, la ragazza sarà causa di un episodio che costringerà i due a cambiare vita, ad intraprendere un nuovo, difficile percorso. 

Punto forte di questo film, a mio avviso, non è tanto il susseguirsi della trama, quanto il modo in cui essa è raffigurata. Adam ed Eve riempiono al meglio ogni scena, lo spettatore si ritrova quasi incantato da ciò che dicono (e dal modo in cui lo dicono!), dai loro sguardi, dai loro gesti, che la trama, a tratti anche incompleta, passa in secondo piano. Nonostante, come ho già detto, nelle due ore in cui si svolge il film regni perennemente un'atmosfera cupa, un susseguirsi di giorni che mai vedono la luce del sole, i sapienti giochi di luce, nonché, lasciatemelo dire, un eccezionale lavoro di fotografia (ad opera di Yorick Le Saux) compensano adeguatamente il buio in cui i protagonisti vivono, che potrebbe però a lungo andare appesantire la visione del film. 
Anche la colonna sonora, a cura del compositore olandese Jozef van Wissem, è un'altra punta di diamante del film, in grado di immergere ancor di più lo spettatore in un'atmosfera gothic/indie/grunge

Ulteriore nota di merito ai protagonisti principali. In primis, un Tom Hiddleston irriconoscibile (se avete visto "Thor" e "The Avengers" sapete di cosa sto parlando) nel ruolo di un vampiro/musicista maledetto, il cui aspetto, le movenze e il tono di voce ricordano non pochi personaggi di celebri film: da Eric Draven ne "Il corvo" a Harry Goldfarb in "Requiem for a dream" (se non l'avete ancora visto, dovete vederlo), passando per Kurt Cobain, interpretato da Michael Pitt in "Last Days" di Gus Van Sant. C'è bisogno che continui? 

Tilda Swinton invece...beh, il nome dice tutto. Malgrado non sia di certo tra le attrici più avvenenti di Hollywood (ma, anche in questo caso, siamo più che stufi), la Swinton è senz'altro una delle più camaleontiche, capace di cimentarsi praticamente in ogni ruolo e, come potrete confermarmi dopo aver visto questo film, questa non è che l'ennesima conferma!

Ulteriore chicca di questo film, che ogni cultore di letteratura apprezzerà, è l'inserimento di un personaggio secondario, ma che permette di mettere in rilievo lo spessore dei personaggi, il percorso che essi hanno intrapreso nei secoli: Christopher Marlowe (interpretato da, guarda un po'!, John Hurt), autore realmente esistito nel 1500, la cui opera più famosa, "Doctor Faustus", fu preziosa fonte di ispirazione per il "Faust" di Goethe (a questo punto fate particolare attenzione alla scena in cui Adam si reca in ospedale per "rifornirsi"). Il personaggio di Marlowe, benché, come ho già detto, passi in secondo piano, è indubbiamente la figura chiave del film, come si potrà intuire dal finale. Sarà proprio Marlowe a fare da tramite alla coppia, a stabilire il loro futuro. 

Mi dispiace solo che questo film non abbia avuto la pubblicità che meriti (d'altronde, sappiamo bene come funziona la distribuzione...), ma alla fine siamo qui per questo, no?

Perciò non mi resta che consigliarvi di vedere, o meglio, di assaporare la visione di questo film. Naturalmente, trattandosi di un film drammatico, non ve lo consiglio qualora stiate cercando una pellicola divertente e spensierata. In caso contrario, mettetevi comodi, isolatevi dal resto del mondo e, per due ore, concedetevi questo piccolo regalo.




 





 Vi lascio infine al trailer del film, sperando possa ulteriormente persuadervi nel vederlo ;) 


Spero la recensione vi sia piaciuta e, se vi va, alla prossima!
Dorotea
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