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lunedì 16 gennaio 2017

"DONNE CHE AMANO TROPPO"

"Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo"


Il libro "Donne che amano troppo" è stato pubblicato dalla scrittrice e psicoterapeuta americana Robin Norwood, nel 1985.
Questo rientra nella categoria cosiddetta self-help book, ossia un libro che si prefigge l'obiettivo di istruire ed indirizzare i lettori verso la soluzione dei problemi personali. In tal caso, dunque, rappresenta una guida verso la consapevolezza di se stessi e verso l'equilibrio dei sentimenti.

Nel suo libro, R. Norwood narra le testimonianze di alcune donne sue pazienti, le quali hanno deciso, ridotte allo stremo, di chiedere aiuto e intraprendere il cammino verso la guarigione dal "troppo amore".
Si ben evidenzia quanto sia incisivo durante l'infanzia il rapporto con i genitori.
La maggior parte di loro viene da famiglie con problemi di alcolismo, ove vi è una certa rigidità, vi sono problemi di comunicazione, o vi si subiscono violenze.
Queste donne sono ferite, traumatizzate, ma nonostante ciò in maniera quasi del tutto inconscia cercano di ricreare nei loro rapporti sentimentali le stesse condizioni vissute da bambine, in ambito familiare.
Se da piccola, Jill, ha avuto un padre che è stato incapace di mostrarle affetto, ecco che da adulta sposerà un uomo al quale dovrà sempre chiedere l'attenzione, arrivando addirittura a colpevolizzarsi per questa mancanza.

"È una regola fondata sull'esperienza: porre fine a una relazione che ci fa stare male è tanto più difficile quanto più ci ricorda i nostri struggimenti infantili. Se si ama troppo vuol dire che si sta cercando di superare le vecchie paure, le rabbie, le frustrazioni e le sofferenze dell'infanzia, e smettere significa rinunciare a un'occasione preziosa di trovare sollievo e di rimediare ai torti che ci sono stati fatti. [...] Risorge l'antico senso di vuoto e le turbina intorno, spingendola in fondo al pozzo dove vive ancora il suo terrore infantile di essere sola, e dove sonnecchia una sofferenza che minaccia di risvegliarsi. [...]
È questa eccitante prospettiva di riparare torti subiti, di conquistare l'amore perduto e di ottenere l'approvazione negata, la chimica inconscia che sta dietro l'innamoramento delle donne che amano troppo."

Pensare di non essere abbastanza, sentirsi responsabili del proprio uomo, impiegare tutte le proprie energie per farsi amare, per cambiarlo o controllarlo, o ancora, dimenticarsi di se stesse e dei propri bisogni per soddisfare sempre e solo quelli di lui, chiudendo un occhio sulle sue manchevolezze, sui suoi vizi; questi sono tutti sintomi della malattia dell'"amare troppo".
Nel libro viene anche riportato uno schema che illustra il parallelismo tra quest'ultima e la malattia dell'alcolismo, mostrandone in entrambi i casi la progressione e la relativa guarigione.
Si spiega nel dettaglio come l'amare troppo crea una vera e propria dipendenza, paragonabile alla dipendenza da alcol, nelle donne che invece non si amano abbastanza.
Non manca certo il lieto fine, una porta aperta alla speranza per ognuna di queste donne che decidono di intraprendere la via verso la consapevolezza, lavorando duramente su se stesse e sui propri sentimenti giorno per giorno, e combattendo la tentazione di ricadere sugli stessi errori.

"Molte donne commettono l'errore di cercare un uomo con cui sviluppare una relazione senza aver sviluppato prima una relazione con se stesse; corrono da un uomo all'altro, alla ricerca di ciò che manca dentro di loro. La ricerca deve cominciare a casa, all'interno di sé. Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perché quando nel nostro vuoto andiamo cercando l'amore, possiamo trovare solo altro vuoto. Quello che manifestiamo all'esterno è un riflesso di quello che c'è nel più profondo di noi: quello che pensiamo del nostro valore, del nostro diritto alla felicità, quello che crediamo di meritare dalla vita. Quando cambiamo queste convinzioni, cambia anche la nostra vita."

"Siamo tutti, ciascuno di noi, pieni di orrore.
Se vuoi sposarti per sfuggire al tuo orrore, riuscirai solo a sposare il tuo orrore a quello di qualcun altro; i vostri due orrori odieranno il matrimonio, tu sanguinerai e dirai che questo è amore."
Michael Ventura

Oggi come oggi, dopo tutto quello che sta accadendo nel nostro Paese (e oltre), dove la cronaca è satura di storie di donne che vengono molestate, deturpate, uccise per quello che qualcuno ha definito "troppo amore", mi preme maggiormente farvi luce su quei pochi strumenti che abbiamo a disposizione per cercare di informarci, ma anche di guardarci dentro, di essere onesti con noi stessi e ammettere, nell'eventualità, di avere (largamente o meno) dei problemi che meritano una corretta analisi e la conseguente guarigione.
Amare troppo, a volte (o ormai spesso), sviluppa in alcune donne una cecità latente che non permette loro di mettere a fuoco la reale situazione in cui si trovano accanto al loro compagno.
Vi è l'incapacità di scindere cosa è amore da cosa non lo è.
Ecco perché è importante fare un primo passo e muoversi verso la soluzione del problema, una volta riconosciuto e accettato.
È fondamentale che noi donne sappiamo riconoscere il valore che abbiamo e che dipende solo ed esclusivamente da noi stesse e da nessun'altro.
Ogni donna, e perché no, anche ogni uomo dovrebbe necessariamente avere nella propria libreria "Donne che amano troppo".

"Se un individuo è capace di amare positivamente, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare affatto."
Erich Fromm, L'arte di amare








_Noemi_










lunedì 2 gennaio 2017

IL PARADOSSO DI PANCRAZIO di LUIGI PISTILLO

E come cominciare l'anno in modo migliore, se non scrivendo una nuova recensione?

BUON ANNO A TUTTI VOI, CARI LETTORI!

Oggi voglio parlarvi di quella che, azzardo, potrebbe essere una pietra miliare della letteratura contemporanea italiana.
Siamo abituati ad una narrativa parecchio semplice e semplicistica generalmente parlando, salvo eccezioni, ovviamente. Ed ecco qui l'eccezione.
Sto parlando del libro Il paradosso di Pancrazio, scritto da Luigi Pistillo (ed. MURSIA).

Luigi Pistillo, già attore e regista teatrale (vedi film "Trincea") è nato a Campobasso, ma attualmente vive a Milano. Ha conseguito la laurea in Lettere Moderne all’Università di Urbino e ad oggi collabora con periodici come "Il Domenicale" in qualità di critico teatrale e letterario. Ha avviato questo progetto di scrittura, portandolo a termine con grande successo.
Il paradosso di Pancrazio è il suo primo romanzo. 

Colgo l'occasione di ringraziarlo anche qui per aver scelto l'Ebbrezza della Cultura, riponendo con grazia e affetto tutta la sua fiducia in noi, nonostante viviamo e condividiamo una piccola realtà.

Grazie mille.



Come il calabrone vola a dispetto delle leggi della fisica, allo stesso modo Pancrazio vive pur sprovvisto di tutti gli attributi necessari e sufficienti per affrontare la multiforme e ostile metropoli milanese. Un paradosso vivente, questo è Pancrazio.
Stralunato e ingenuo precario esistenziale, senza un lavoro fisso, senza cultura, senza passioni (a parte le donne e la collezione di tappi), un po' sovrappeso, il protagonista di questo romanzo è ogni giorno alle prese con gli enigmi della realtà che di volta in volta hanno il volto di improbabili ciarlatani di televendite, ragazze rimediate via Internet, vicine di casa sadiche, medici avidi e artisti d'avanguardia, pubblici amministratori inaffidabili.
Per tacere della sua famiglia e degli amici. Pancrazio, il Biagiotti, la signora Giovanna – rispettivamente padre e madre del paradosso vivente – e Franco, l'amico di sempre, compongono una bizzarra compagnia di ventura alle prese con la vita e la sua straordinaria assurdità. Divertente, grottesco, satirico, spietato e tenero, questo romanzo guarda il mondo con gli occhi ingenui di Pancrazio.
E lo vede per quello che è: un rumoroso caravanserraglio dove nessuno può dirsi davvero normale. A parte Pancrazio che, paradossalmente, ha tutte le qualità senza averne nessuna.

Pancrazio viene presentato come un uomo semplice, mite e decisamente immaturo. Una personalità nettamente contrapposta a quella del padre Carlo, dinamico e risoluto.
È satollo di contraddizioni, i suoi ragionamenti sono privi di linearità e lo ben dimostra il suo modo paradossale e ironico di approcciarsi alla realtà circostante.
Coccolato dalla mamma Giovanna, la quale lo giustifica dando la colpa al padre del suo essere scansafatiche e demotivato, ci porta agli occhi il quadro attuale della famiglia italiana 'tipo'.
Non manca la critica, seppur celata, al sistema che caratterizza il nostro Paese e ai principi e ai valori etici con i quali viviamo.
Posso dire con fermezza che Pancrazio è ognuno dei ragazzi di oggi. È ognuno di noi.
L'incapacità di confrontarsi con gli altri, di misurarsi in situazioni nuove e che richiedono delle responsabilità, come il lavoro o le relazioni sentimentali. L'essere restìo ad uscire dal nido. Il perpetuo tentennare nel compiere scelte.
Possiamo riconoscergli però, la coerenza nell'analisi di se stesso, delle sue idee.
La perseveranza del nostro apatico protagonista a non vedere, o meglio non voler vedere con oggettività e con matura consapevolezza la realtà che si trova a vivere, dovrebbe essere spunto di riflessione per tutti.
Ogni personaggio, in dati contesti, che viene fuori man mano che la storia si sviluppa vuole insegnarci qualcosa.
Leggendo delle sue avventure mi è stato impossibile non pensare "cavolo, ma è proprio così!"; vi assicuro, chiunque di noi si è trovato almeno una volta a vivere il paradosso di Pancrazio.
Ad arricchire e a rendere più "assurda" la storia è il linguaggio scelto dal nostro scrittore: diretto, conciso, a tratti dialettale e scurrile ma anche desueto e istrionico.
Insomma, un mix di risate e ironia ai limiti dell'incredibile che sdrammatizza (non di poco) il messaggio morale.

Andrea G. Pinketts lo ha definito così:
«Pancrazio è un po' cugino di Candide, cognato sfigato di Forrest Gump, ma sostanzialmente figlio spaesato di Marcovaldo. Un umorismo irresistibile sul paradosso di una realtà inaccettabile, ma condivisibile.»

E io mi trovo pienamente d'accordo.
Se volete affrontare un viaggio "nuovo", seppur familiare, perché vissuto quotidianamente nella nostra vita, ma con una particolare vena comica (come non si leggeva da anni), non potete non leggere l'opera dello scrittore Luigi Pistillo.



_Noemi_












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