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giovedì 13 aprile 2017

FuoriTema: un anno a Bristol

Rieccomi.
Credo sia passato un anno (o quasi) dal mio ultimo post su questo blog. Io e le mie fantastiche colleghe siamo sempre in contatto per aggiornare e apportare migliorie alla nostra piccola piattaforma, perciò restate sempre su questi schermi se volete restare aggiornati sulle nostre recensioni!

Oggi, tuttavia, voglio raccontarvi qualcos'altro. Un off topic o, senza troppi forestierismi, fuori tema rispetto ai soliti trattati da noi: voglio parlarvi del mio primo anno all'estero.
Se avete già spulciato nella sezione dedicata allo staff, saprete che nel 2015 ho trascorso un semestre nella magnifica regione del Sichuan, in Cina, per migliorare le mie competenze relative alla lingua cinese. Tornata in Italia a luglio dello stesso anno, a malincuore devo riconoscerlo, ho presto toccato con mano le difficoltà della vita di una giovane neolaureata, alla quale venivano sempre dette frasi come "Wow hai studiato il cinese! Di certo troverai subito lavoro!", ma che di lavoro non ha visto nemmeno l'ombra. Sono una ragazza come tutte le altre, la cui famiglia lavora costantemente sodo per guadagnarsi da vivere. Ho avuto (e ho tuttora) la fortuna di non conoscere, seppur comprendendo, la miseria, e ho sempre avuto molto, molto, molto più di quel che mi occorresse, e di questo sono grata ogni giorno della mia vita. Nonostante ciò, quando gli anni cominciano a passare e ti avvicini ad una certa età, quel che hai non ti basta più e senti il bisogno di volare via dal nido, di cominciare a pensare, anche lontanamente, all'idea di costruirti un tuo futuro.

Il caso ha voluto che il mio futuro cominciassi a costruirlo a Bristol, piccola città portuale a sud ovest dell'Inghilterra, a poco più un'ora da Cardiff, in Galles. Il caso, o la fortuna, che mi hanno condotta in quella che conoscevo solo come ambientazione di Skins (serie tv che ho visto più volte, tra l'altro), è stata una mia cara amica e compagna di università (che, ovviamente, non smetterò mai di ringraziare, niente avrebbe avuto inizio senza te) il cui lavoro l'aveva condotta proprio a Bristol qualche mese prima. 
Castle Park

The Harbourside


Arrivata nella mia nuova città il 13 febbraio 2016 alle 9 del mattino, dopo un'estenuante attesa all'aeroporto Stansted di Londra e quattro ore di bus, non mi restavano neppure le forze per piangere. Eppure, una volta arrivata a casa della mia amica e del suo ragazzo che mi hanno gentilmente ospitata durante le prime, durissime settimane, sono scoppiata in lacrime, e non sono riuscita a fermarmi per diversi giorni. Io, dalla lacrima non proprio facile, che piangevo a fontana. Ero palesemente spaventata da un nuovo inizio, quasi certa di aver commesso un errore a lasciare Palermo, i miei amici e la mia fantastica famiglia, e il pensiero di mollare tutto e tornare a casa mi è balenato più volte in mente. 

Sarò sincera: non mi riconoscevo più. Avevo già sperimentato la vita all'estero, ma stavolta le condizioni erano differenti: da un'atmosfera da vacanza studio ad una realtà in cui "no lavoro no party", ergo senza lavoro dopo un paio di mesi sarei dovuta tornare a casa; da un periodo di tempo limitato ad uno opzionale; ero partita con un gruppo di amici ed ora mi ritrovavo, seppur con l'appoggio della mia amica, la quale è tornata in Italia dopo un mese, da sola.
Il bello di vivere lontani da casa è, in realtà, l'esatto contrario: non si è mai soli. Questa nuova vita mi ha permesso di incontrare tanti nuovi e fantastici amici. Grazie ad uno di essi, il quale, credetemi, è una delle persone più buone che possano esistere sulla Terra, ho trovato il mio attuale lavoro da receptionist in un hotel, lavoro che, per quanto duro ed estenuante possa essere, spesso mi gratifica. Dopo sette mesi sono stata promossa a capo ricevimento, e sono alla ricerca di un'ulteriore promozione, ma questa è un'altra storia.

:)
Quello che vi ho appena raccontato non ha nulla di diverso alle centinaia di migliaia di storie di expat in tutto il mondo. Mi sento spesso dire che ho davvero avuto le palle ad andarmene e a ricominciare da zero e che non tutti al mio posto lo avrebbero fatto...in realtà non penso di aver fatto niente che altri milioni di persone non abbiano già fatto, e che faranno.
Nonostante ciò mi sento di riconoscerlo: per quanto ognuno di noi abbia lasciato la propria casa, la propria patria per motivi diversi (chi per scelta, chi per costrizione, chi per disperazione), sono fermamente convinta che abbiamo tutti una cosa in comune: il coraggio e la voglia di vivere il futuro.

Consigli in pillole per cui vuol trasferirsi all'estero:
Ricordate che, qualsiasi cosa accada, potrete sempre tornare a casa e nessuno potrà biasimarvi per averci provato. Fate solo quel che vi sentite e non fatevi scoraggiare da un inizio non tutto rose e fiori. Non è che l'inizio della vostra nuova vita, ed ogni minimo traguardo raggiunto sarà solo fonte di infinita soddisfazione.

Se volete linee guida specifiche per Bristol o l'Inghilterra in generale contattatemi via mail a ebbrezzadellacultura@live.it o via messaggio privato sulla nostra pagina Facebook.

A presto!
Cheers,
Dorotea.

martedì 27 settembre 2016

Voglia di LIBRI (e che Libri!): Jane Eyre e la sorprendente attualità dei classici

Vi è mai capitato di amare qualcosa ancor prima di scoprire di cosa si trattasse? 
Questo è ciò che mi è successo con Jane Eyre, uno dei romanzi più celebrati di sempre, appartenente al superbo periodo letterario, d'epoca vittoriana svoltosi in Inghilterra nel 19° secolo , che comprende, tra i nomi più noti al pubblico d'ogni parte del mondo, le opere di Jane Austen (sebbene non proprio associabile al romanzo vittoriano), William Thackeray, Charles Dickens e le sorelle Bronte, e tra esse Charlotte Bronte, autrice del romanzo di cui parleremo oggi. 

Questo post non vuole essere una vera e propria recensione (romanzi come Jane Eyre, francamente, non ne hanno alcun bisogno), quanto una riflessione sui personaggi, e sulla sorprendente attualità che essi rivelano nel corso della lettura, a distanza di quasi duecento anni, in un'epoca diametralmente opposta alla nostra. Tuttavia, mi piace pensare che, nonostante la notevole distanza temporale dall'epoca in cui Charlotte Bronte ha pubblicato il romanzo (era il 1847) ad oggi,  ci si possa ancora emozionare e, perché no, immedesimare nei personaggi, le cui vicende, se traslate in un'epoca più recente, sono ancora molto verosimili. 
 
Dal film di Franco Zeffirelli (1996)
Iniziamo con l'inquadrare per l'appunto i protagonisti, prima fra tutti la nostra eroina. 
Chi è Jane Eyre? Jane è una giovane donna, neanche ventenne, che porta ancora oggi le cicatrici delle ferite del passato, tra un'infanzia in una famiglia adottiva in cui non era amata ed il successivo trasferimento nel collegio di Lowood, dove il cibo è scarso, il clima è rigido e vi è poco spazio concesso agli svaghi. Otto anni a Lowood trasformano Jane in quella figura severa che la zia Reed, nonché tutrice della ragazza, aveva più volte criticato e vessato anni prima. Ad un occhio esterno Jane non sembra che una giovane istitutrice, rigida, dedita solo al lavoro e del tutto ignara di alcun tipo di divertimento, ed è così che si descriverà lei stessa (il romanzo è per l'appunto in prima persona). In realtà Jane non è che una ragazza qualsiasi, che sa emozionarsi per le piccole cose, la cui unica sfortuna è stata non aver alcun approccio col mondo in cui vive il suo, chiamiamolo così, datore di lavoro, Edward Rochester, conoscitore del mondo, appassionato di viaggi e di belle donne. 
Prima di passare a Rochester, altra figura interessantissima del romanzo, soffermiamoci ancora su Jane: quel che più sorprende, a parer mio, è la normalità assoluta di questa ragazza, dalle ribellioni infantili ritenute dalla zia "appartenenti ad un animo malvagio" (andiamo, chi di noi non ha mai risposto male a 10-11 anni?), alle passioni scoperte una volta uscita dal collegio. Jane è chiaramente dipinta come una giovane donna affamata di vita e d'amore, che pian piano scopre la bellezza di una vita migliore (ci si intenerisce davanti alla sua reazione quando vede la sua nuova stanza nella tenuta di Rochester), e soprattutto la scoperta di ciò che, fino a d'ora, non riteneva le fosse possibile ottenere: l'amore di un uomo, la cui ricchezza avrebbe potuto concedergli le donne più belle (tra cui la frivola, ma affascinante e anche molto poco sensibile Blanche Ingram), ma sceglie lei, lei che sa leggere nella sua anima e lo ritrae, attraverso il delicato tocco della sua matita, per l'uomo che realmente è. 



Potrei dire molto altro su Jane, ma voglio concentrarmi sugli altri importanti personaggi della vicenda. Riallacciandoci a quanto detto sopra, Edward Rochester viene inizialmente presentato come una figura evanescente, un padrone per lo più assente durante l'anno, ma di buon cuore (lo si vede dai doni che porta ad Adele, allieva di Jane, nonché figlia illegittima di Rochester). Man mano che i fatti si susseguono, la maschera indossata da Rochester scivola lentamente, rivelando le umiliazioni e le ingiustizie subite da un uomo che nella sua vita ha inghiottito bocconi sempre più amari. Per lui la presenza di Jane avrà una parvenza angelica, che gli permetterà di scoprire - così come a Jane stessa - cos'è l'amore.

Interessante la presenza di personaggi complementari ai protagonisti stessi. Se è vero che "gli opposti si attraggono", qui l'affermazione è legge: quando Jane scopre dell'imminente arrivo di Blanche al castello, passa ore ed ore ad immaginarla e addirittura la ritrae per dar vita alla sua fantasia. Al momento del suo arrivo, Blanche dà conferma a Jane dell'idea che quest'ultima si era fatta, una donna i cui abiti candidi e i boccoli sapientemente arricciati porteranno sicuramente un matrimonio vantaggioso, ma la cui mancanza di tatto allontanerà da sé alcuna possibilità di amare veramente. 

Così come Blanche è opposta a Jane, anche il reverendo St. John Rivers, sostenitore di Jane durante uno dei momenti più difficili di tutto il romanzo, sembra essere diametralmente opposto a Rochester. L'uno bello, ma tremendamente austero e dedito solo alla sua missione, l'altro brutto ma affascinante, intento a provocare Jane con le sue affermazioni mordaci e le sue domande trabocchetto. Ciononostante, l'amore che lega St. John a Jane, più che un amore viene visto come un dovere, la cui prepotenza spegne ogni interesse ancor prima d'accenderlo. 
Un'altra, importante figura, nonché principale causa di crollo verso la fine del romanzo, si rivela nel libro verso la fine, ma non voglio spoilerarvi più di quanto non abbia già fatto. Vi basta solo sapere che è non è che la goccia che fa traboccare il vaso di segreti e dolori dello stesso Rochester.

Tirando le somme, prima che questo post risulti infinito, vi lascio le mie ultime osservazioni e anche un paio di domande: è pur vero che, spesso e volentieri, nei classici il sugo è molto allungato (io stessa, tra pagine e pagine di dialoghi in cui non si arrivava a nessun punto mi chiedevo: e quando concludete?) e quindi la parola lascia il posto all'azione, ma non è sorprendente quanto i sentimenti, le inquietudini e soprattutto (lasciatemi passare la parola) le sfighe accomunino figure del 1800 a noi poveri e pazzi del 2016? Immaginate a quante Jane, a quanti Rochester e a quante Blanche avete incontrato nella vostra vita...o se siete voi stessi Jane, Rochester e Blanche. Questo non è solo un invito a leggere i classici (la curiosità deve comunque nascere spontaneamente), ma un invito a rivisitarli, a non classificarli come "vecchi" ancor prima di aver letto la trama, o ad associarli soltanto barbosi e letti a causa della scuola o di un esame. Pensate alle vicende dei personaggi, trasponete le loro storie in un'epoca più attuale e magari penserete "cavolo, ma Jane sono io!".

Vi segnalo (e non mi stancherò mai di farlo) anche la sublime trasposizione cinematografica diretta da Franco Zeffirelli nel 1996, con Charlotte Gainsbourg (sì, quella di Nymphomaniac di Lars Von Trier) nel ruolo di Jane Eyre. Ho visto anche la versione del 2011, diretta da Cary Joji Fukunaga, ma...per me è no. 

Augurandovi una buona giornata vi invito sempre a seguirci sulla nostra pagina Facebook, rinnovo le mie scuse per l'infrequente attività, ma lavoro tantissimo e il poco tempo che ho preferisco passarlo lontana dal pc. Fateci sapere le vostre sempre apprezzatissime opinioni e ricordatevi sempre di vivere, leggere, ma soprattutto Amare.
Dorotea.

    giovedì 9 giugno 2016

    Voglia di LIBRI: "Fiore di Neve e il ventaglio segreto" di Lisa See (2009) - storia di un'amicizia in Cina

    Per la serie "a volte tornano"...rieccoci!
    Chiedo ancora una volta perdono per la ripetuta latitanza, ma destreggiarsi tra lavoro, vita nuova lontana da casa e il blog diventa sempre più difficile! Per farmi perdonare, eccovi una recensione, più che a caldo oserei dire ancora sul fuoco, di un romanzo la cui lettura è stata terminata una decina di minuti fa. 

    Oggi vi parlo per l'appunto di un romanzo consigliatomi da una cara amica (e se gli amici veri vi consigliano dei libri, accettate il consiglio, quasi sempre il romanzo saprà leggervi nel cuore così come i veri amici sanno fare): si tratta di "Fiore di Neve e il ventaglio segreto" dell'autrice americana Lisa See, edito da Tea nel 2009. 
    Vi basterà dare un'occhiata alla bibliografia della See per riconoscere la sua sconfinata passione per la Cina, complice la presenza del nonno cinese. Questa passione per la cultura e la civiltà cinese del diciannovesimo secolo si respira pagina dopo pagina, catapultando il lettore entro un mondo in cui, sebbene la vita fosse tutto fuorché semplice, soprattutto per le donne, e dettata da un'infinità di regole a cui obbedire pedissequamente, onde scongiurare una rinascita ancor più difficile, la tradizione e il rispetto per le proprie radici ha la meglio, ricordando al lettore che prima di tutto dobbiamo sempre tener presente chi siamo e da dove veniamo.
    Solitamente non comincio mai una recensione con le mie considerazioni personali, ma stavolta penso fosse necessario farvi un quadro generale prima di riassumervi brevemente la trama. 

    Di cosa parla questo romanzo? Come già accennato sopra, ci troviamo nella Cina del diciannovesimo secolo, un'epoca in cui mettere al mondo figlie femmine era una disgrazia (soprattutto se primogenite) e dove centinaia di migliaia di piedi venivano fasciati - anche a costo di morire - per garantirne una forma aggraziata, adatta a stipulare un matrimonio vantaggioso per la famiglia della sposa. In questo contesto, dove le donne passano le loro giornate ad occuparsi della casa, a ricamare e a badare ai figli nelle loro stanze, conosciamo Giglio Bianco, protagonista nonché voce narrante della storia, e Fiore di Neve, la sua laotong, ovvero compagna di vita stabilita dalla zia di quest'ultima, sensale del villaggio di Jintian che, analizzando i caratteri componenti i nomi delle bambine, ha suggerito che le due venissero legate in amicizia per sempre, e che condividessero tutti i momenti più importanti delle rispettive vite. 
    L'amicizia tra Giglio Bianco e Fiore di Neve dura oltre quarant'anni - dall'inizio della dolorosa e crudele fasciatura dei piedi, al momento delle promesse di patrimonio fino alle nascite dei figli - ogni cosa viene registrata, nella lingua segreta delle donne, il nushu, in un ventaglio, oggetto simbolo dell'eterno ed indissolubile legame tra le due donne, il cui rapporto d'amicizia verrà ripetutamente ostacolato dalle rigide convenzioni sociali, ascese e discese di rango, nonché imperdonabili sbagli e rimpianti che, diverse volte, ricorderanno all'autore quanto a volte sarebbe stato facile lasciarsi il passato alle spalle. Fa da sfondo storico la rivolta dei Taiping, avvenuta a metà del 1800, nonché capitolo fondamentale per l'intera vicenda. 

    Intenso, quanto veritiero, il modo in cui l'ormai ottantenne Giglio Bianco racconta la storia della sua vita e dell'amicizia con Fiore di Neve. Mentre leggi ti sembra quasi di vederla lì, seduta in un angolo, i capelli bianchi e radi e l'aspetto fragile, mentre scioglie i nodi di una matassa che ha sempre portato nel cuore.
    Romanzi così non necessitano altre spiegazioni. Necessitano soltanto una visita alla libreria più vicina. Io nel frattempo, anche se non posso promettervi nulla, cercherò di essere un tantino più costante. Ricordatevi che siamo attivi anche su Facebook, fateci sapere quali sono state le vostre ultime letture e se avete letto e apprezzato questo romanzo, alla prossima!

    Dorotea.

    venerdì 18 marzo 2016

    "Meglio il libro o il film?": Bridget Jones (trilogia)

    Un po' di tempo fa vi annunciai, sulla nostra pagina Facebook, che "prossimamente" (virgolette dovute alla mia incorreggibile mancanza di tempo e di puntualità, chiedo venia) sarebbe uscita sul nostro blog la recensione di una trilogia letteraria piuttosto conosciuta e prettamente dedicata al pubblico femminile. Tra le risposte ipotetiche dei nostri fans, nessuna si è rivelata essere quella giusta, motivo per cui la protagonista del nostro post di oggi, nonché la  più imbranata della storia letteraria e cinematografica, Bridget Jones, è decisamente più nota al pubblico per l'interpretazione di Renée Zellweger al cinema, nella trasposizione dei due primi romanzi, che nella versione letteraria, composta appunto da ben tre episodi. 
    Nella seconda puntata della nostra rubrica "Meglio il libro o il film?" (QUI troverete la prima puntata, dedicata a "Il diavolo veste Prada"), andremo pertanto a scoprire non tanto le differenze, spesso inevitabili, tra versione letteraria e la rispettiva trasposizione cinematografica, ma i punti di forza dell'uno e dell'altro. 

    (n.b. NON CI SONO SPOILER!)


    Prima di tutto: chi è Bridget Jones? Domanda che ha risposta più che immediata: nata dalla penna dell'autrice inglese Helen Fielding, Bridget Jones nasce come protagonista del romanzo, edito da Sonzogno del 1998, "Il diario di Bridget Jones" (titolo originale: Bridget Jones diary, 1995), divenuto, nel 2001, una pellicola di successo con Renée Zellweger nei panni dell'impacciata protagonista, trentenne segretaria di una casa editrice ossessionata dall'idea di perdere peso e dalla ricerca dell'uomo perfetto, e con Hugh Grant e Colin Firth rispettivamente nei ruoli di Daniel Cleaver e Mark Darcy, uomini che entrambi avranno ruolo fondamentale nelle pagine del diario in cui Bridget, nel cercare di riprendere in mano la propria vita, racconterà tutte le sue verità. A far da contorno ad una sequela di tanto spassose quanto (occasionalmente) tragicomiche vicende, i genitori di Bridget, sempre ad un passo dal divorzio e nel pieno della crisi dovuta all'avanzare dell'età, e tre amici, nonché fratelli di sventure, Jude, Tom e Sharon (spesso nominata Shazzer nei libri), che spesso e volentieri mettono lo zampino, creando ulteriori problemi, nella già complicata vita privata della povera Bridget, la quale, già di suo, non fa che confondere, tra una sigaretta e un bicchiere di vino di troppo, la situazione. 




    Nel secondo romanzo, "Che pasticcio, Bridget Jones!" (Bridget Jones the edge of reason), edito da Rizzoli nel 1999 e divenuto film nel 2004, la protagonista, così come preannuncia il titolo originale, tocca il limite della ragione: altre situazioni catastrofiche, nonché la sua predominante insicurezza, si sovrappongono l'un l'altra guastando una breve ma significativa stabilità sentimentale. Allo stesso tempo Bridget deve fare i conti col nuovo lavoro da reporter e un inaspettato viaggio in Asia con l'amica Sharon, che le causerà non pochi problemi.






    Il terzo ed ultimo capitolo della serie, intitolato "Bridget Jones, un amore di ragazzo" (Bridget Jones: mad about the boy, 2013) arriva ben quattordici anni dopo l'ultimo romanzo e, al contrario di come ci si potrebbe aspettare, ovvero uno stantio riciclo di idee al fine di fare soldi sfruttando la fama del personaggio, il terzo romanzo della saga Bridget Jones è proprio la boccata d'aria fresca che serviva alla storia. 
    Ritroviamo qui una Bridget in prossimità dei cinquant'anni, nuovamente single, ma con tanto di figli piccoli e una grande casa da gestire, nonché un avanzamento di carriera come sceneggiatrice cinematografica. Inevitabile chiedersi cosa sia avvenuto in questi ultimi anni: sempre tra le pagine del suo diario, tra infelici conteggi di sigarette fumate, calorie ingerite, chili persi e amori conquistati, emergerà una Bridget che, seppur maturata e resa più responsabile a causa di non pochi momenti tristi nella sua vita, e dall'inevitabile cambiamento dovuto al passare del tempo, resterà sempre la solita Bridget che non regge l'alcool, che si ingozza di mozzarella grattugiata e di cioccolata, e dedita a far figuracce, soprattutto dovute ad un errato uso dei social network. 

    Veniamo ora alla domanda cruciale: MEGLIO IL LIBRO O IL FILM?
    Risultato: parità, dovuta semplicemente al fatto che non è stata realizzata la trasposizione cinematografica del terzo capitolo (anche se voci di corridoio non ne escludono la possibilità in futuro). Se avete visto e apprezzato il primo film, troverete adorabile naturalmente anche la versione letteraria, poiché vanno di pari passo e le differenze percepibili sono minime e solo ai fini della sceneggiatura.
     Tuttavia, come abbiamo visto nel caso de "Il diavolo veste Prada", non sempre il libro si rivela essere migliore al film. E lo stesso caso vale per il secondo capitolo, dove, nel corso della lettura, capita spesso di doversi fermare e sentirsi quasi in dovere di mollare una testata a Bridget, poiché, arrivando al limite della ragione, arrivano anche dei momenti dove i suoi neuroni si prendono una lunga vacanza. Pertanto, vi consiglio di limitarvi al film, sicuramente più spassoso e meno "disperdi-neuroni". 
    Dal momento che il terzo ed ultimo capitolo non può essere (ancora) paragonato alla versione cinematografica, vince a tavolino. Nonostante ciò resta, a mio avviso, il migliore della trilogia. 





    Forse non tutti sapevate che: 
    Oltre all'evidente scelta dell'autrice di dare al grande amore di Bridget, Mark, lo stesso cognome del personaggio di "Orgoglio e pregiudizio", ovvero Darcy, la scelta di Colin Firth per il ruolo di Mark non è casuale, dal momento che lo stesso attore ha interpretato Darcy anche nella trasposizione cinematografica del romanzo della Austen. E l'attore fa la propria comparsa nel ruolo di se stesso anche nel secondo romanzo, dove un'impacciatissima Bridget intervista l'attore a Roma, facendo più volte riferimento alla camicia bagnata durante una delle scene di "Orgoglio e pregiudizio".

    Si conclude qui la seconda puntata della rubrica "Meglio il libro o il film?". Fateci sapere se avete letto i libri e/o visto i film, e quali secondo voi sono meglio riusciti. Alla prossima!
    Dorotea.

    giovedì 25 febbraio 2016

    Voglia di libri: "Per me scomparso è il mondo" di Emiliano Ereddia.




    Salve a tutti ed eccomi, dopo secoli e secoli di assenza per così dire “sabbatica”, con una recensione che avrei dovuto scrivere molto tempo fa e per questo me ne scuso. Per farmi perdonare, oggi vi racconterò qualcosa su un libro che ho trovato molto interessante sia per lo stile narrativo che  per la trama vera e propria, in particolare per il suo sviluppo nel tempo della storia. Sto parlando di “Per me scomparso è il mondo”, di Emiliano Ereddia. Il romanzo è edito da “Corrimano Edizioni”, e già dalla copertina, colpisce per la sua crudezza nel raccontare una storia, già di per sé piuttosto complessa, fatta di intrighi, sesso, droga e il classico "rock 'n' roll".

    Lo stile dell'autore è basato costantemente sulla seconda persona singolare, cosa piuttosto insolita nella 
    letteratura. Sembra come se l'autore volesse metterci nei panni del protagonista, Boss, - famosissima rockstar ormai da anni presente sulla scena musicale italiana -, come se volesse farci provare le miriadi di emozioni e sensazioni che il dissoluto protagonista sente nel raccontare la storia. E l'autore è la nostra coscienza, anzi, la coscienza di Boss, una coscienza tormentata, che ci fa rimuginare, fa correre i nostri pensieri in un filo nonsense di miriadi di parole e ricordi, contornate da improperi e oscenità che svelano la natura di Boss e rivelano soprattutto, moltissimi dettagli della sua vita e delle sue considerazioni sulla stessa. Le immagini che si susseguono nella mente di Boss, di cui non sapremo mai il vero nome (come di nessuno degli altri personaggi), si susseguono nel corso del libro come un fiume in piena che ti travolge e ti coinvolge nelle sfortunate vicende del musicista e della sua band. "Per me scomparso è il mondo", racconta infatti di Bros, Doc, Staisereno, Poldo, P e Q, i "ragazzi" al servizio di Boss, leader di una rock band molto nota. Ma Boss è a sua volta dominato dai suoi pensieri e segreti. 
    Il segreto più grande è una minorenne sua fan, di cui circola un video nella quale lei e Boss, sono ripresi durante un rapporto sessuale. Lui è evidentemente nudo e totalmente "fatto", lei non sembra consenziente. La band viene ricattata da una rete televisiva venuta in possesso del nastro, ma Boss è irremovibile e intende farla pagare all'odioso presentatore (il "figlio di puttana perfetto") di un famoso talk-show della rete che vuole a tutti i costi intervistarlo per avere lo "scoop" esclusivo.

    Non vi dirò altro sulla trama di "Per me scomparso è il mondo", poiché non è un romanzo da poter raccontare così, in poche parole; va letto con calma, bisogna perdersi nei voli pindarici del protagonista, entrare nella sua mente e vestire i suoi panni, per poter capire la sua complessità e la furia che imperversa dai periodi, costruiti come in un moderno "Ulysses" di James Joyce, pieno di digressioni, di frasi da cui fuoriescono altre frasi più concitate, più contorte, fino a non avere più un nesso logico con il discorso iniziale, con intervalli di dialoghi in un tempo che non è più quello dei pensieri che scorrono, ma quello dei ricordi legati alla vicenda, ricordi fatti di dialoghi in "botta e risposta", in cui là per là ci si confonde fino a non capire più chi sta dicendo cosa; ma poi tutto torna, e allora quei dialoghi e quei pensieri che possono sembrare folli di primo acchitto, hanno un senso, hanno una logica e ci troviamo a tifare per il Boss, che alla fin fine, nel racconto siamo noi, e ci sentiamo come lui, proviamo pena e anche rabbia per lui, per il suo atteggiamento, per una vita persa nell'alcool e nella droga, per la sua apparente mancanza di amor proprio...
    Ma d'altra parte, chi di noi non ha mai sentito, almeno una volta, nei suoi pensieri, il desiderio di perdersi, di abbandonarsi in una bolla di sapone, una bolla in cui rifugiarsi per non sentire quella coscienza che ci tortura, quei pensieri e quelle emozioni forti che ci tartassano, per veder scomparire il mondo così com'è, ed è lì che ci rendiamo conto che in fondo, la vita è fatta di futilità, di fiumi di parole...


    E ora, due parole sull'autore.

    Emiliano Ereddia è nato in Sicilia, nel 1977. E' un autore televisivo e sceneggiatore del cult movie "W Zappatore", vincitore del Brooklyn Film Festival 2011 per il miglior film. E' musicista e vive attualmente a Roma.



                                                    

                                                                               L'autore di "Per me scomparso è il mondo", Emiliano Ereddia


    Consiglio vivamente di leggere questo romanzo, consiglio di perdervi nelle parole che scorrono, non esaminandone il senso o il significato, ma lasciandovi trasportare da quel fiume in piena, che vi trascinerà in un mondo all'apparenza così diverso dalle nostre esperienze, ma allo stesso tempo, nemmeno così distante.




    venerdì 8 gennaio 2016

    Voglia di LIBRI (e di Natale): "NOS4A2. Ritorno a Christmasland" di Joe Hill

    In questi giorni postfestivi, in cui la voglia di rimettersi a lavorare/studiare è pari a quella di un tacchino che attende il giorno del Ringraziamento, i ricordi delle (spero) belle festività appena trascorse non fanno che ritornarci alla mente, un po' come Emma Bovary, la quale pensò e ripensò al primo gran ballo della sua vita dopo mesi (che ve lo dico a fare, Flaubert merita assolutamente!)

    Copertina del libro.
    Con la voglia di rivivere l'atmosfera e la magia del Natale appena trascorso, non posso non parlarvi della mia ultima lettura, che magari allevierà la vostra nostalgia natalizia. O forse no.
    Edito da Sperling&Kupfer nel 2014, "NOS4A2. Ritorno a Christmasland" è l'ultimo lavoro dello scrittore americano e super figlio d'arte Joe Hill. Figlio di chi, vi domanderete. E se vi dicessi figlio di un mostro sacro della letteratura horror americana, dai cui romanzi sono stati tratti numerose pellicole altrettanto di successo, come "Shining", "Misery non deve morire" e "Il miglio verde"? Proprio lui, Stephen King, la cui impronta narrativa non poteva che estendersi anche biologicamente. 

    Il titolo del romanzo fornisce all'aspirante lettore che ha appena preso il libro in mano per la prima volta due indizi fondamentali: NOS4A2 altri non è, leggendo i numeri in lingua inglese, che un modo per celare il vero significato, ovvero Nosferatu, il celebre vampiro della pellicola del 1922. Ma NOS4A2 è anche e soprattutto la targa della Rolls Royce del '38 con cui va in giro Charlie Manx, presunto "benefattore" che conduce i bambini nella propria dimora dove è Natale tutto l'anno, Christmasland, ma in realtà non è che è un famigerato serial killer che ha colpito e causato la scomparsa di decine di minorenni per più di vent'anni. Ed è proprio nel pieno della sua "attività" che si imbatte nella piccola Vic McQueen, incontro che la segnerà per sempre.
    A distanza di anni, una Vic tormentata dal terribile ricordo di Christmasland e di Charlie Manx, nonché da una forte dipendenza dall'alcol, dovrà fare i conti una volta per tutte con Manx e la sua folle voglia di vendetta, e tornare per un'ultima, fatidica volta a Christmasland.
    Joe Hill

    Benché abbia apprezzato tantissimo sia l'idea di fondo della storia sia il legame tra la targa dell'auto e il suo proprietario (fatemelo dire: geniale!) questo romanzo ha un piccolo, ma non trascurabile difetto: la storia è eccessivamente diluita, e il lettore rischia di perdere il filo nelle sue 590 (!) pagine. Ovviamente la prolissità in un libro non dev'essere vista necessariamente come un difetto, vi sono tantissimi romanzi costituiti da mille (e più pagine) che non fanno venir voglia al lettore, neanche al più svogliato, di chiudere il libro e di farsi un pisolino. Qui, purtroppo, mi è successo, ragion per cui ho impiegato un bel po' a finirlo. 
    Tuttavia voglio invitarvi a concentrarvi sugli aspetti positivi di "NOS4A2" e ai molteplici motivi per cui, a mio avviso, andrebbe letto: oltre ad una descrizione dettagliata (a anche parecchio impressionante) dei luoghi tetri e funesti di Christmasland (e vorrei vedere a chi non metterebbe paura un luogo popolato da cadaveri, fiocchi di neve e bastoncini di zucchero...!), è interessante soprattutto il modo in cui i pochi, ma significativi personaggi si muovono all'interno della storia: da Vic al compagno Lou, dal loro figlio Wayne alla bibliotecaria Maggie, passando per i genitori di Vic; tutti personaggi in trappola, per scelta e/o per conseguenza, del fallimento, della sconfitta, che li ha segnati fisicamente ed emotivamente, rendendo difficili, e in alcuni casi impossibili, i rapporti interpersonali. Vic per prima è in conflitto con se stessa, e non solo per il terribile ricordo legato a Christmasland, ma per la sua natura ribelle che l'ha portata presto ad allontanarsi dalla famiglia e a vivere allo sbando.
    La narrativa di Hill è comunque semplice, scorrevole e alla portata di tutti. Vi consiglio questo thriller soltanto se siete già appassionati del genere, temo che un neofita potrebbe abbandonare facilmente la lettura.

    Dell'autore vi segnalo anche "La scatola a forma di cuore" (Heart-Shaped Box, 2007) e "La vendetta del diavolo" (Horns,2010, da cui è stato tratto l'omonimo film con Daniel Radcliffe come protagonista), tutti editi Sperling&Kupfer
    Spero abbiate gradito la prima recensione del 2016. Alla prossima!

    Dorotea. 

    lunedì 14 dicembre 2015

    Voglia di Cinema: "I segreti della mente" (2010)

    Ancora una volta, un sincero e gigantesco grazie a Netflix che mi sta aprendo un mondo facendomi scoprire centinaia di film di cui, a dirla tutta, non avevo mai sentito parlare.               Oggi è la volta de "I segreti della mente"(titolo originale: Chatroom), pellicola del 2010, a cura del regista Hideo Nakata, il quale ha trasformato in film alcune opere di Koji Suzuki, come Ring (la versione originale giapponese), la versione occidentale del sequel, The Ring 2, e Dark Water.   L'impronta di Nakata, proiettata verso un'autentica manipolazione della mente che porta spesso inevitabilmente alla tragedia, è la chiave del film.                                           Ad aprire le danze è William (Aaron Taylor - Johnson), adolescente mentalmente disturbato, che decide di creare una chatroom, "Chelsea teen", a cui fanno subito parte altri quattro ragazzi: Eva (Imogen Poots), aspirante modella che ben presto si rende conto di quanto inconsistente e mediocre sia l'ambiente in cui vive; Emily (Hannah Murray), "vittima" della severità dei genitori; Mo (Daniel Kaluuya), infatuatosi della sorellina undicenne del suo migliore amico e timoroso di essere considerato un pedofilo; e infine Jim (Matthew Beard), la presenza più scostante all'interno della chatroom. Schivo, timido e tremendamente insicuro, è la preda perfetta per il piano perverso e crudele di William: indurlo al suicidio.




    Il film dà una visione più che lampante di quanto il cyberspazio, nel momento il cui uso supera il limite dello svago per cui è stato effettivamente creato, diventi una trappola, più asfissiante di un boa constrictor, più di una stanzetta senza finestre. Gli utenti si ritrovano dalla parte opposta: una volta riusciti nell'intento dell'"evadere dalla realtà", è proprio la realtà stessa ad evadere da essi, e a rendere reale ciò che invece non esiste, permettendo loro di credere che ciò che leggono sia sempre autentico e dia i consigli migliori. Ed è ciò che adopera William: attraverso una sottile e crudele manipolazione, come il ragno intrappola la preda nella propria rete, egli cercherà di intrappolare il fragile Jim nella fitta ed inestricabile rete del web. 
    Un cyberthriller che, benché prevedibile in certi punti, cattura lo spettatore. Ciò che ho più apprezzato in questo film è la rappresentazione che Nakata ha dato delle chatroom: una serie di ambienti spaziosi, popolati da gente d'ogni sorta, tant'è che inizialmente lo spettatore pensa di assistere a degli incontri fisici tra i personaggi. 

    Vi lascio, come sempre, al trailer del film.

    Dorotea.

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