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lunedì 5 gennaio 2015

Voglia di LIBRI: "Ciò che inferno non è" di Alessandro D'Avenia

Copertina del libro. 
"Sono convinto che ogni anima sia fatta di almeno cinque parole, le cinque che preferiscono. Le tue cinque parole sono quelle che dicono come respiri, e da come respiri dipende il resto. Le mie sono: vento, luceragazzasilenziosamente e benché. Ognuno dovrebbe scrivere una poesia con le sue cinque parole, giusto per ormeggiare l'anima in un porto sicuro." [p. 37]
Con queste parole viene delineato il personaggio di Federico, protagonista di "Ciò che inferno non è", terzo romanzo dell'autore palermitano Alessandro D'Avenia, edito Mondadori ed uscito in libreria giorno 28 ottobre 2014. 
Nonostante l'estratto sopracitato si trovi ben oltre l'inizio della narrazione, ho scelto di iniziare così la mia recensione per sottolineare l'importanza che, sia per il protagonista sia, chiaramente, per l'autore, hanno le colonne portanti della comunicazione: le parole; che esse possano ferire più di una spada è risaputo. Ed è proprio con le parole che Federico, studente diciassettenne del liceo classico "Vittorio Emanuele II" di Palermo, intende dare il proprio contributo al mondo. Tuttavia il suo professore di religione gli farà ben presto notare che le parole, da sole, non bastano: occorre anche e soprattutto agire. Ragion per cui Federico si ritroverà presto a che fare con una realtà totalmente diversa dalla sua, la difficile realtà di un quartiere come Brancaccio. Perché il suo professore di religione non è un uomo qualsiasi, è Padre Pino Puglisi, e l'anno è il 1993
Una volta aperti gli occhi su un mondo tanto vicino quanto remoto come quello presente a Brancaccio, dove chi comanda agisce in silenzio e dove gli "estranei" non sono ben accetti, Federico inizia a percepire il proprio di disagio, sentendosi a sua volta "estraneo" nella propria città. Tuttavia, grazie al tenace lavoro di Padre Puglisi al centro "Padre Nostro", Brancaccio rivela il suo lato nascosto, quello in cui c'è ancora chi crede nei propri sogni, come Lucia, in cui Federico vedrà realizzarsi il proprio sogno d'amore petrarchesco. 

Altro simbolo ricorrente in questo romanzo, come già si può notare dalla copertina, è il mare, i cui sconfinati orizzonti rappresentano quel barlume di speranza tanto agognato dai bambini del centro "Padre Nostro", il cui sogno, risvegliato dall'animo e dalle parole di Puglisi, è di andare oltre quei confini, e di avere la possibilità di riscattarsi da un destino, volente o nolente, fortemente influenzato dal loro quartiere. 

Con "Ciò che inferno non è", D'Avenia permette al lettore di far rivivere uno dei capitoli più tristi della storia dell'Italia del Novecento. Attraverso le parole tanto amate da Federico è possibile scardinare i pregiudizi che, sfortunatamente, sono ancora legati a tali tematiche, facendo prevalere l'importanza dei sentimenti, della passione, ma soprattutto della voglia di riscattarsi, sia che ci si trovi a Brancaccio, sia in qualunque altra parte del mondo. Ed è ciò che, pur versando qualche lacrima, resta al lettore fino alla fine della lettura.

Detto ciò, consigliarvi la lettura di questo romanzo è più che scontato, perciò vi lascio con un'altra delle tante citazioni che più ho amato, incoraggiandovi ancora una volta a leggere, amare e meditare su questa bellissima storia:

"A mare" e "amare hanno lo stesso suono, e tutto ciò che è ambiguo qui è vero: il cuore spasima la vita e la vita non lo accontenta mai.". [p. 196]

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