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domenica 26 febbraio 2017

Dall'autore de "IL PARADOSSO DI PANCRAZIO"...

PIRANDELLO-LAVIA, BINOMIO VINCENTE
di Luigi Pistillo

Prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana è approdato a Milano al Teatro Franco Parenti L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello.
Il “fiore” è l’epitelioma, un tumore alla pelle. Ed il protagonista del dramma che ne è affetto vive gli sgoccioli della sua esistenza osservando gli aspetti della quotidianità e, “come un rampicante alle sbarre di una cancellata”, rimane attaccato ad essi gustando, per esempio, la bravura dei giovani di bottega mentre confezionano i pacchetti. Sua moglie vorrebbe che rimanesse a casa per prestargli le sue amorevoli cure, ma egli, rivolgendosi all’avventore del bar della stazione con il quale sta colloquiando, dichiara che non può stare fermo. È come immaginare i cittadini di Messina o di Avezzano, vittime del terremoto, “spogliarsi placidi, placidi per mettersi a letto. Ripiegare gli abiti, mettere le scarpe fuori dell’uscio e cacciandosi sotto le coperte godere del candore fresco delle lenzuola di bucato con la coscienza che fra poche ore sarebbero morti. Le sembra possibile?” Chiede l’uomo affetto dal male al suo interlocutore.
E sembra possibile che alla fine del secondo decennio del presente secolo nihil sub sole novum!? Ossia nulla è cambiato, non c’è stato alcun miglioramento circa la prevenzione da quando l’autore girgentino rappresentò la sua opera nel 1922. Per cui gli abitanti delle zone a rischio di terremoto continuano a “ripiegare gli abiti, mettere le scarpe fuori dall’uscio…” ignari di quello che accadrà dopo poche ore.
L’edizione del capolavoro pirandelliano visto al teatro milanese è firmata da Gabriele Lavia (pure interprete principale), il quale innesta nell’atto unico, con mano felice, alcune novelle (sempre di Pirandello), ottenendone un’opera nuova, originale; rispettosa, tuttavia, degli intendimenti dell’autore siciliano.
L’inizio dello spettacolo è spettrale e preconizza il senso della morte che permea di sé tutto l’atto unico. È una notte di tempesta. Sullo sfondo d’una sala d’aspetto (le scene sono di Alessandro Camera), attraverso una vetrata, s’intravvede una donna che cammina e si ode uno sferragliare di treni amplificato che produce un effetto sinistro, spaventevole.
Atmosfera vagamente dreyeriana che evoca l’anticamera degli inferi, non un luogo dove liberamente si può partire e ritornare.


Poi c’è un omino (“l’uomo dal fiore in bocca”) rannicchiato su una panca. Potrebbe essere un clochard, sicuramente non deve andare da nessuna parte; egli è in attesa, attende che arrivi qualcuno. E difatti presto arriva. È un viaggiatore che ha perso il treno, è carico d’un numero esagerato di pacchi e pacchettini dai colori sgargianti. Inciampa e cade destando l’attenzione dell’omino che gli va incontro gioioso, da squisito anfitrione. Si capisce che lo stava ansiosamente aspettando. L’omino ha un aspetto trasandato: un cappelluccio, una giacchettina sgualcita, eppure rivela con camicia e cravatta dei trascorsi di borghese decoro. L’aiuta a raccogliere i pacchi, una raccolta che si svolge a ritmo di danza con musica (l’autore delle appropriate  musiche è Giordano Corapi). Lavia si pone da subito in modo ironico, a tratti clownesco. Sfodera il suo armamentario da artista del palcoscenico tout court, balla, corre con sorprendente agilità dando l’impressione d’un giovane truccato da uomo maturo.  Accorcia la sua figura ingobbendosi lievemente, un accorciamento simbolicamente legato all’approssimarsi della dipartita. Mima la confezione di pacchi con la grazia d’un Marcel Marceau, recita e canta con accento siculo, ma con misura non scadendo nel pittoresco; da drammaturgo e regista amplia il personaggio del viaggiatore (normalmente poco più che una comparsa), rendendolo talora coprotagonista. Il ruolo è affidato al bravo Michele Demaria che con voce stridula, contrapposta a quella calda, brunita e corposa di Lavia, rende bene le stupefazioni, le riflessioni da “uomo pacifico”. 
Tra i due personaggi s’instaura immediatamente un’intesa. L’omino ha marcato il territorio, considera quindi la sala come uno spazio suo e si mette in desabillè invitando il suo “ospite” a fare altrettanto. Gli fa sfilare scarpe e calze poiché inumidite dalla pioggia. Il viaggiatore si ben dispone ad ascoltare le parole dell’omino che ha una gran voglia di vita e che con disperata energia cerca di esorcizzare la sua tragica condizione. Vede la moglie (la donna dietro la vetrata dell’inizio impersonata da Barbara Alesse) e l’insegue armato di pistola e spara. Il tenero omino, pensando di uccidere la moglie-morte, si nutre dell’illusione di potersi sottrarre al suo crudele destino; e ciò genera in chi lo osserva un sentimento di commossa simpatia verso cotanta disarmante ingenuità. Il viaggiatore ad un dato momento prende commiato e l’omino rimane ancora solo, desolatamente solo, aspettando un possibile prossimo “ospite”. L’allestimento visto al Parenti è d’una  levatura eccezionale ed il pubblico ha voluto ringraziare Gabriele Lavia tributandogli applausi prolungati, scroscianti, riservati (almeno nella prosa è così), solitamente solo ai grandi eventi.





L'Ebbrezza della Cultura ringrazia infinitamente Luigi Pistillo per averci scelto. 

Grazie
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